I Coma_Cose e l’amica di nonna Speranza

Correva l’anno 1911 quando Giuseppe Antonio Borgese coniava il termine “crepuscolarismo”, per denunciare che la poesia italiana, finita la grande giornata lirica da Parini a D’Annunzio, si andava spegnendo “in un mite e lunghissimo crepuscolo”. Quelle rime, che prediligevano toni dimessi, colori spenti, espressioni prosaiche, fra ironia e malinconia, si autocompiacevano di rasentare la banalità, pur consapevoli del proprio fascino nascosto.

Correva l’anno 2017 quando Fausto Zanardelli, in arte “Lama”, classe ’78, e Francesca Mesaino, classe ’90, già nota come “California”, lasciavano il lavoro di commessi in un negozio di zaini e costituivano il duo Coma_Cose, pubblicando l’EP “Inverno Ticinese”, raccolta di soli tre brani (Anima Lattina, French Fries e Pakistan) che racchiudeva in sé influenze indie, pop-rap, new wave e di elettronica.

Ebbene l’abbaglio del grande pubblico, nel riservare alla band una tiepida accoglienza (almeno di quello italiano, visto che i CC, tanto per dirne una, subito dopo l’esordio hanno aperto i concerti dei Phoenix a Parigi), ricorda esattamente il fraintendimento del Borgese.

I più, infatti, si sono affrettati a bollare il repertorio musicale di Lady California e Mr. Lama come un insieme di canzonette dalla melodia troppo elementare. Deve esser sfuggito, all’ascoltatore sentenzioso, che, dietro ad un racconto apparentemente modesto e disadorno di scene di vita quotidiana milanese, si celano una poetica ricca di simbolismo e la ricerca, del tutto intenzionale, di un sound e di un linguaggio minimale.

Come non pensare, allora, al genio di Guido Gozzano, massimo esponente del crepuscolarismo letterario, che descrive nelle sue poesie i personaggi e gli ambienti della borghesia piemontese di inizio secolo con lessico familiare e tono colloquiale? Come non pensare, ascoltando “Pakistan” a tutto volume, che dipinge sullo sfondo una Milano vista con gli occhi di chi è giunto dal paese di provincia, alle “buone cose di pessimo gusto” accumulate nella casa un po’ vetusta de “L’amica di nonna Speranza” (G. Gozzano, “I colloqui”, 1911)?

E così il Loreto impagliato e i fiori in cornice, gli acquarelli un po’ scialbi, le miniature e i dagherrotipi che riempiono il salotto di Carlotta, compagna di studi alla quale Speranza si è recata a far visita per le vacanze estive, diventano, ai giorni nostri, il divano che c’è fuori da un portone con su scritto “per l’AMSA”, il 14 per Lorenteggio, il ventolone della Pam.

La forza delle immagini evocate raggiunge l’ascoltatore ed il lettore con la stessa potenza, ed ogni cosa sembra materializzarsi dinanzi ai loro occhi.

E mentre Gozzano un po’ strizza l’occhio e un po’ ridicolizza le chiacchiere da salotto, in cui si mescolano pettegolezzi, cronaca mondana e accenni politici, Francesca e Fausto cantano l’amore dipingendo immagini di vita vera, cariche di allegorie e di riferimenti ad oggetti comuni, che si elevano dal quotidiano risvegliando ricordi ed emozioni che hanno fatto parte della storia di ciascuno di noi.

E così lei, tornata a casa alle quattro di notte, strozza una Corona col limone esclamando “se no poi ti racconta cosa ho fatto”; e mentre prega il compagno di aiutarla a pensare che questa giornata non sia grigia, come quando trovi la spiaggia dell’anno prima in fondo alla valigia, osserva la strada, che è solo una riga di matita che trucca gli occhi alla pianura (“Mancarsi”, Hype Aura, 2019). E se lui non può evitare di dirle “galleggio in una vasca piena di risentimento e tu sei il tostapane che ci cade dentro” lei, che per metà è una donna forte, decisa come il vino buono, e metà una Venere di Milo, che prova ad abbracciare un uomo, dichiara dolcemente “l’inverno è solo un’estate che non ti ha conosciuto” e gli chiede “resta qui e bruciami piano, come il basilico al sole sopra un balcone italiano” (“Fiamme negli occhi”, 2021).

E intanto una musica accattivante e avvolgente proietta chi ascolta senza pregiudizi in un mondo in cui The xx stringono la mano a Lucio Battisti.