Alcune cose che odio

La lista che segue potrebbe essere molto molto più lunga.

Tuttavia l’esperimento (condotto da me medesima nel mio esclusivo interesse, of course) consiste nell’indicare cose o fenomeni capaci di generare una immediata reazione orticante nella sottoscritta.

E allora via con l’elenco:

– ricevere uno Smartbox in regalo (non voglio andare in vacanza in un periodo prestabilito, in un albergo scelto entro una ristretta selezione, col proprietario che mi odia perché ho prenotato con una formula a lui sconveniente, con l’acqua alla gola perché sicuramente mi ricorderò di avere la scatola infernale esattamente nel giorno della scadenza. Regalatemi piuttosto un paio di pantofole De Fonseca, grazie);

– le lampadine a risparmio energetico (devo aver letto da qualche parte che la definizione di infinito coincide con il tempo impiegato da una lampadina a risparmio energetico per far luce);

– le caselle di posta elettronica diverse da Gmail (provo per i loro possessori la stessa diffidenza che suscitano i promoters porta a porta di un contratto con un nuovo gestore di luce e gas);

– i baristi che servono l’acqua liscia insieme al caffè (specialmente se contestualmente ho ordinato una bottiglietta di acqua frizzante che evidentemente no, non era per il mio gatto);

– le conversazioni sulle tariffe telefoniche;

– quelli che dicono “Lui Jo””;

– i corsi per sommelier (non è che mi basti non frequentarne uno, intendiamoci, sarei piuttosto per l’abolizione di tutti quelli esistenti);

– l’Happy Friday della Vodafone;

– quelli che “ho letto un libro/visto un film bellissimo” e poi non appena gli chiedi il titolo rispondono “non lo ricordo” (pensa se invece che bellissimo fosse stato normale o orribile);

– l’espressione “in primis”;

– la parola “tablet”;

– i complottisti;

– i camerieri che ti portano via il piatto prima che tu abbia finito completamente di “ripulirlo”;

– il parasole delle automobili che non si può spostare al lato o prolungare; 

– i regali delle amiche per la casa (che vi costa andare in profumeria o da Zara, brutte stronze?);

– la pellicola antigraffio per il vetro del cellulare;

– l’utilizzo improprio del termine “problematica” al posto di “problema” (ma chi sei, Ludwig Wittgenstein?);

– quelli che, non distinguendo il “sì” avverbio affermativo dal “si” pronome riflessivo, li scrivono entrambi senza accento;

– quelli di madrelingua italiana che scrivono “blue” invece di “blu” (esistono, giuro, e neppure sono in pochi).

E questo (non) è tutto.

Sull’uso non avversativo di “piuttosto che” e sulle espressioni “ci vediamo settimana prossima” (siete forse inglesi che togliete l’articolo?) e “a studio” credo non ci sia più alcunché da dire o da fare.